A chi appartiene l'acqua?

Se i secoli XVI, XVII e XVIII secolo hanno riguardato soprattutto i sistemi di proprietà, di divisione e di utilizzazione della terra, e le rivoluzioni del XIX e XX secolo sono state fatte sui problemi della proprietà, dell’appropriazione, della divisione e dell’utilizzazione delle risorse energetiche (carbone, petrolio, elettricità), il XXI secolo si presenta come il tempo che marcherà principalmente il consumo di materie prime, e l'utilizzo dell'acqua, su cui i conflitti fra Stati e regioni tenderanno sempre più ad esacerbarsi.

Oggi sotto la spinta della crescita demografica e per effetto dell'inquinamento, le risorse idriche pro capite negli ultimi trent'anni si sono ridotte del 40 per cento. Nel 2020, quando ad abitare la Terra saremo circa 8 miliardi, il numero delle persone senza accesso all'acqua potabile sarà di tre miliardi circa. Un bene, quindi, che sta diventando sempre più raro.

"Chi gioca con l'acqua gioca con il fuoco", affermò Golda Meir, secondo la quale l'acqua è diventata sempre più un obiettivo strategico generatore di conflitti tra Stati. D'altronde, come suggerisce la parola rivale (da cui rivalità), dal latino riva, il rivale è colui che sta sull’altra riva e dipende dalla stessa sorgente, da cui si ritiene che "debba" venire il pericolo, l’attacco.

E pensare, che a dirimere le varie questioni pendenti nel mondo sull'utilizzo dell'acqua di fiumi che attraversano più stati, ci si appella a quattro teorie: la sovranità territoriale, il flusso naturale dell'acqua, l'assegnazione equa e l'interesse della comunità.

Quella che lascia perplessi, se non addirittura sgomenti è la teoria della sovranità territoriale, che risale al 1896 ed è nota anche come "Harmon doctrine", (dal nome del giurista americano, che la elaborò e la rese pubblica il 12 dicembre 1895, e che ebbe un ruolo di primo piano nella disputa sul Rio Grande tra Stati Uniti e Messico), la quale sostiene che gli stati a monte, hanno il diritto di fare ciò che vogliono dell'acqua sul loro "territorio", anche se ciò può provocare un danno agli utilizzatori a valle.

Anche nel paese più sviluppato del pianeta, gli Stati Uniti d'America, il problema dell'acqua si pone in conflitto tra gli stessi stati federali. La questione è sempre la stessa: a chi "appartiene" quell'acqua? Oppure, se l'acqua appartiene al pubblico, chi ha diritto di usarla?

Rispondere a queste domande è diventato fondamentale per la California, dove la crisi idrica è più forte. Negli stati occidentali è diventato un problema persino innaffiare fiori e piante.

Rispondere alle domande è fondamentale per la controversia di impiego delle acque tra Alabama, Georgia e Florida sul bacino idrografico di Apalachicola-Chattahoochee-Flint . E' fondamentale anche per Israele, Palestina, Giordania, Libano e Siria, dove la disputa dell'acqua del piccolo fiume Giordano è diventata insostenibile. E' fondamentale per l'Egitto e per le altre nove nazioni che condividono il Nilo. E' fondamentale per le controversie tra gli utenti di acqua in tutto il mondo.

Proprio la scorsa settimana, il governatore della Georgia Sonny Purdue ha affermato che la Georgia ha un diritto di tutta l'acqua del Apalachicola / Chattahoochee / Flint River Basin, il bacino idrografico (drena una superficie di oltre 5 mila chilometri quadrati), che inizia nel nord della Georgia e sfocia nel Golfo del Messico a Apalachicola Bay, vicino Apalachicola, in Florida .

"Lo stato della Georgia ha diritto all'uso di tale acqua, e noi facciamo uso di tale acqua", ha detto il governatore. Era la risposta ad una recente sentenza del tribunale che ha dichiarato che la Georgia sta utilizzando più acqua di quanto gliene aspetti, privando in tal modo la quota spettante a Florida e Alabama.

Si pensi cosa significherebbe applicare la dottrina di Harmon. L'Egitto non avrebbe diritto all'acqua del Nilo, visto che il fiume nasce interamente nelle nazioni verso l'alto (Burundi compreso). Tuttavia il Nilo fornisce il 97% di acqua all'Egitto.

California, Nevada, Arizona, New Mexico, Utah non avrebbero diritto ad utilizzare l'acqua del fiume Colorado, perché la maggior parte viene dalle montagne rocciose del Colorado. La Turchia non dovrebbe trasportare una goccia dell'acqua dal Tigri e dall'Eufrate, che inoltre, sostiene anche Siria e Irak. La Cina non dovrebbe condividere i flussi del Mekong, del Gange, del Salween, e di altri grandi fiumi che sostengono miliardi di persone in Asia. Mentre l'India, pur affermando la supremazia assoluta quale proprietaria dell'Indo, ha concesso specifici diritti al vicino Pakistan.

Per fortuna che questa teoria strambalata e molto pericolosa, è universalmente ripudiata. Oggi, dopo una serie di convenzioni e di trattative internazionali, sancite dalle Regole di Helsinki del 1966, la teoria prevalente sancisce "l'uso equo e ragionevole", per cui gli Stati a monte non possono utilizzare indiscriminatamente le acque a danno degli utenti a valle (teoria dell'utilizzo equo) e "il diritto per ogni paese di usufruire" del flusso naturale di acqua che attraversa il proprio territorio (teoria del flusso naturale).

Per concludere, una buona notizia dell'ultima ora. Difatti, "secondo i delegati che hanno partecipato la settimana scorsa ad un riunione del Nile Basin Initiative ad Alessandria d'Egitto, dopo 10 anni di negoziati, i paesi che compongono il bacino del più lungo fiume del mondo, sono vicinissimi ad un accordo affinchè venga costituita una commissione permanente che gestisca l'uso dell'acqua.

Se i colloqui andranno a un buon fine, come auspicano molti delegati, la commissione potrebbe consentire ad alcune delle più povere zone del pianeta, la maggior parte delle quali stanche di guerre e miseria, di poter sfruttare e utilizzare il fiume, potenziando il loro sistema agricolo, senza per questo dover entrare in conflitto con i loro vicini. La proposta della Commissione dovrebbe sostituire una serie di trattati e di accordi bilaterali che hanno a lungo ostacolato i progetti di sviluppo lungo le rive del fiume.

Immagine: www.flickr.com/

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