Maledetto oro nero

Dilaga nell'area mediterranea e nel Medio Oriente l'insurrezione dei popoli contro storici regimi autoritari e dittatoriali: dalla Tunisia all'Egitto, dall'Algeria allo Yemen, dal Bahrain alla Libia, dove l'inossidabile "regno" di Gheddafi sta traballando paurosamente. 

Proprio in Libia, in particolare a Bengasi in Cirenaica, seconda città del paese, la rivolta sta degenerando. Tantissimi morti, ospedali pieni, un bagno di sangue anche ad opera di crudeli mercenari di colore provenienti dal sud, oltre il deserto, che sparano all'impazzata per le strade e dai tetti dei palazzi di Bengasi e nelle zone costiere.

Le immagini in gran parte rubate coi telefonini e affidate a Internet che riescono ad emergere dalla morsa della censura sul bagno di sangue tra i manifestanti in Libia, mostrano l'efferatezza degli scontri e della carneficina tuttora in atto. 

In queste ore, in cui si vocifera che il colonello Gheddafi abbia già lasciato il Paese per il Venezuela, il regime sta promettendo aumenti salariali per tutti e mutui immediati per le giovani famiglie,
 
Dall'interno dello stesso mondo arabo, soprattutto dall'Egitto dove la rivoluzione verde ha vinto alla grande, si consiglia a Gheddaffi di farla finita e di dare finalmente ascolto alle legittime aspirazioni del suo popolo.

Violenze anche a Gibuti, ad Amman in Giordania, dove ci sono stati scontri violenti. Anche in Algeria, la cui storia cinquentennale è stata caratterizzata dal sangue, e dove lo stato di emergenza è in vigore da 19 anni, la protesta dilaga. In questo paese, anch'esso ricco di risorse energetiche e con una popolazione povera, l'onda della rivoluzione verde ha dato fiducia ai tanti giovani stanchi, disoccupati e insoddisfatti che stanno scendendo in piazza contro il presidente, contro una burocrazia elefantiaca e corrotta e contro l'aumento dei prezzi.  

Anche in Marocco, un paese di 35 milioni di abitanti, grazie al tam tam che arriva attraverso Facebook e Twitter il movimento "20 febbraio" sta attuando, sebbene con meno impeto e furia che altrove, una forma di protesta ponderata che vuole portare il Paese verso una migliore democrazia, senza però arrivare ad una vera e propria rivolta violenta. Qui l'accesso alle risorse del paese vengono concentrate nelle mani, non della fascia monarchica della corte del re, comunque, amato dal popolo, ma da parte del gruppo di potere di governo e sottogoverno che gestisce la quotidianità amministrativa, politica ed economica del Paese. 

Nel Bahrain, dopo l'assalto sferrato all'alba di qualche giorno fa, con decine di lacrimogeni lanciati contemporaneamente dalle forze di sicurezza contro l'accampamento dei manifestanti, che protestavano contro la monarchia assoluta dell'emirato, piazza della Perla (nella foto sopra) il cui monumento centrale sta a ricordare a tutti che prima del petrolio e dell'alta finanza il Bahrein era un arcipelago di semplici pescatori di ostriche, si è trasformata in un inferno.

Il Bahrain è un piccolo emirato composto da 33 isole, dove la crisi economica ha accresciuto il senso di frustrazione ed esclusione che la maggioranza sciita nutre nei confronti della minoranza sunnita, a cui appartengono il re, la sua famiglia e il suo nutrito seguito. 

In questo contesto, anche la gara di Formula uno prevista per il 13 marzo è a rischio.

Dall'altro lato della penisola arabica, nello Yemen, continuano le proteste di migliaia di manifestanti, in gran parte studenti, in un paese segnato dalla povertà e dall'infiltrazione dei ribelli legati ad al qaeda, con il grande problema delle risorse idriche.

Tensioni anche nel paese dei cedri, il Libano, il più stretto alleato del minaccioso Iran, dove il leader degli hezbollah ha minacciato di conquistare la Galilea, ma il premier israeliano Netanyahu ha consigliato a  Hassan Nasrallah di restare nel bunker dove si è rintanato dalla guerra del 2006. 

E' indubbio, tuttavia, che l'Iran sta di nuovo diventando un attore importante sullo scacchiere internazionale. Le manifestazioni di Teheran, organizzate più che altro da chi vive in Europa attraverso i social network e i telefonini, spronano il popolo iraniano a scendere nelle piazze più importanti di Teheran a determinate ore...
Per molti, il problema principale del mondo arabo è la presenza americana nell'area, che la crescente protesta intende indebolire.

Il 
Bahrain ospita ad esempio la base navale della V flotta americana che controlla la navigazione petrolifera nel Golfo Persico, e questo la rende strategico.

In Kuwait ci sono altre forze impegnate soprattutto in Irak. Nel Qatar c'è il quartier generale delle forze armate americane ed è una base per andare a bombardare l'Afghanistan.

Si capisce che tutto questo, dice il corrispondente Rai da Washington Antonio Di Bella, per 60 anni è stato lo scudo militare che ha protetto e garantito il flusso del petrolio da quella regione verso gli Sati Uniti.

Adesso si teme che lo stretto di Hermuz (nell'immagine) davanti all'Iran, da cui parte un terzo del petrolio mondiale possa creare ulteriori tensioni.

A Washington si pensa che tutta questa instabilità renda meno forte la presenza americana ed è per questo che gli americani sono costretti ad agevolare le rivolte in piazza, se pacifiche. In alcuni casi, come in Iran, in quanto sono ostili al governo iraniano; in altri casi, un poco a malavoglia, perchè temono il salto del buio, dopo Mubarak, ad esempio.
 
 
La Cbs, trasmettendo servizi dal Medio oriente e dalla penisola arabica, ha detto ai suoi telespettatori che adesso che vedranno alle stazioni di rifornimento la benzina costare molto di più, capiranno come questi paesi non siano poi così lontani e ininfluenti per la loro vita futura. 

Intanto, il prezzo del greggio sale, ma i veri problemi potrebbero venire da Arabia Saudita e paesi del Golfo.             
 
Nel mentre, tanto per creare più tensione alla già infuocata situazione, le autorità egiziane hanno dato il via libera, per la prima volta dalla rivoluzione iraniana del 1979, che portò alla completa rottura dei rapporti diplomatici con l'Egitto, alle navi iraniane di attraversare il canale di Suez. 

Nella penisola del Sinai, invece, dopo che il 5 febbraio una esplosione del terminale del gas di el-Arish ha interrotto il flusso di gas a Israele e la Giordania, l'esercito egiziano ha dispiegato centinaia di soldati a guardia del gasdotto. 

Ultima ora: un terremoto di magnitudo 5,9 della scala Richter ha scosso la zona attorno al canale di Suez  48 ore prima che le due navi iraniane, una fregata e una nave di approvvigionamento, potessero entrare nel canale.  Il transito delle navi era stato previsto pez oggi, ma i funzionari egiziani hanno annunciato il ritardo di questa mattina, senza spiegazioni.


Immagini: anthony-fuller.com 

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