Benzina: non sono tempi normali

La tassazione sulla benzina è ormai arrivata alle stelle.

Un anno fa il prezzo della benzina era al 10° posto tra i Paesi dell'eurozona, oggi la benzina è diventata la più cara d'Europa. Proprio per il suo costo è diventata merce preziosa e quindi di contrabbando, come lo furono l'olio, lo zucchero, il sale ai tempi della II guerra mondiale.

Ormai dalla Svizzera arrivano in Italia, in maniera illegale, migliaia e migliaia di litri di carburante, un carburante libero da accise ed IVA, che sta gettando nella miseria più nera molti distributori italiani. Il peso delle accise + IVA sul prezzo del carburante persa di un buon 60%. Per molti distributori, specie quelli nelle vicinanze dei confini, che vendono appena qualche migliaio di litri al giorno. In molti casi il guadagno lordo è di 40, 50 euro al giorno. Il che vuol dire che tolte le accise e l'IVA, il guadagno si riduce a circa 15 euro al giorno... una miseria!

Per il gestori della Faib il governo dovrebbe investire a favore dei benzinai di confine. La Faib è una  delle sigle che riunisce i gestori e propone al governo di rinunciare ad una parte delle accise sui carburanti venduti al confine con la Svizzera, la Slovenia, la francia, l'Austria e perfino con San Marino.

Ma è tutto il settore che è in crisi: a monte si ha il sistema della raffinazione, un tempo il fiore all'occhiello dell'industria nazionale, che oggi sta perdendo denaro; mentre è in caduta libera il settore della distribuzione. Basti pensare che il margine dell'intera filiera (dalla raffinazione fino al serbatoio del consumatore) è di 15 centesimi, contro una forbice di prezzi pari a 12 centesimi, cioè un margine sul costo del carburante bassissimo che va a creare, appunto, una concorrenza inusuale, straordinaria.

Anche per i petrolieri il margine sul costo del carburante è bassissimo: circa 15 centesimi per coprire l'intero costo della filiera, dal gestore all'ammortamento degli impianti, ai costi di trasporto, agli obblighi di biocarburante, alle tasse sul punto vendita fino a far restare circa 1 centesimo contro i 100, 105 centesimi che incassa lo Stato di utile delle compagnie in tempi normali. Ma questi non sono tempi normali e quindi lo spazio di manovra che hanno gli attori della filiera, dal gestore alla compagnia petrolifera per poter ridurre i prezzi sono veramente infinetesimali rispetto alle possibilità di riduzione d'accisa.

Tutti d'accordo che le accise sul carburante sono alte. Invece sul margine industriale lordo i 15 centesimi dichiarati dai petrolieri sono contestati dai gestori.

Per gli impianti no logo, non legati cioè alla grande distribuzione  (ad es. Auchan, Carrefour, Conad...)
 i conti quadrano meglio perchè adottano una strategia sulla politica di prezzo, quindi vengono ridotti i prezzi per aumentare i volumi. In questo modo i costi fissi dell'impianto si vanno a ripartire sul volume che è estremamente più significativo. Ciò comporta che  a parità di margine, con una pompa normale, vengono venduti molti più litri che permettono di fare prezzi più bassi. E quelli che sono legati alla grande distribuzione hanno un vantaggio in più, perchè possono comprare dal libero mercato, cioè da chi fa il prezzo migliore, permettendosi in tal modo margini di guadagno più ridotti sulla benzina ma soprattutto decidere da chi comprare il carburante.

Ciò lo permette il nuovo decreto liberalizzazioni che si estende anche ai gestori proprietari d'impianti, che li stimola a mettersi in gioco, e farli diventare delle pompe bianche, cioè pompe NO logo. Mettersi in gioco per loro significa rinunciare in un certo modo alla tutela che può dare un marchio, un brand. Per il gestore rinunciare all'esclusiva con una compagnia petrolifera è un rischio d'impresa, per il consumatore vuol dire prezzi più bassi. Gli impianti no logo in un certo qual modo diventano padroni del mercato: abbassano i prezzzi e costringono tutti gli altri a fare lo stesso, meglio dell'Antitrust, che sebbene abbia più volte sanzionato le compagnie petrolifere non sono mai riuscite ad ottenere certi risultati.

In Italia, quando l'operatore dominante ENI  aumenta il prezzo, viene seguito dagli altri. Così anche quando lo diminuisce. Quasi mai. Il conflitto d'interesse nasce dal fatto che lo Stato italiano nell'istante in cui possiede l'ENI, e vuole dall'ENI più dividendi possibili, è come se le dicesse "fai i prezzi più alti che puoi", costringendo quindi i consumatori a pagare il prezzo più alto possibile, perchè bisogna dare allo Stato più dividendi possibili. Per capire come mai si paga il 60% di tasse su ogni litro di benzina, bisogna guardare indietro di molti decenni, dal tempo in cui è cominciata la storia delle accise che nascono, vivono e non muoiono mai.

La più vecchia delle accise sui carburanti, che oggi vale 1 millesimo di euro, risale a più di 70 anni fa, al 1935 con la guerra d'Etiopia; c'è poi quella del '56 sulla crisi di Suez, oltre 7 millesimi; quella del Vajont, 5 millesimi; l'alluvione di Firenze, il terremoto del Belice e del Friuli, il terremoto in Irpinia nel 1980 che pesa ancora oggi per 4 centesimi; guerra del Libano dell'83, più di 10 centesimi nel costo della benzina; missioni in Bosnia nel 1996; rinnovo del contratto degli auto ferrotranvieri nel 2004, altri 2 centesimi; poi c'è l'acquisto degli autobus ecologici nel 2005 poi si salta al 2011 dove ne accise ne compaiono 4 nell'arco di un anno: la prima per finanziare lo spettacolo, la cultura in Italia; la seconda la crisi libica (4 centesimi), poi l'alluvione in Liguria e Toscana, l'unica col decreto Salva Italia di dicembre (8 centesimi)... in totale si arriva a 70 centesimi per litro di benzina. Queste sono le accise nazionali, poi ci sono 10 regioni che applicano le accise regionali, e su tutto questo si paga l'IVA.

Ricapitolando: prezzo industriale del carburante + accise + IVA = la benzina più cara d'Europa.

Fonte: estratto in parte dagli Intoccabili (LA7)

Immagini: areadiservizioonline.it - blog.panorama.it

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